La mia lettera delle Dimissioni dal ricovero
Ci sono posti nei quali per essere accettati bisogna parlare o vestirsi in un certo modo. Posti nei quali è opportuno essere colti, (o al contrario ostentare disprezzo per la cultura e le buone maniere). Ci sono ambienti dove bisogna essere spiritosi o brillanti. Altrimenti si viene esclusi o ci si sente estranei o ci si esclude da sé. Molto spesso è così.
Qui al dispensario, invece, dopo un primo periodo di disagio, tutti noi ci accorgiamo di poter parlare come parliamo a casa nostra, e gli altri cercano di capirci- e quasi sempre ci capiscono veramente.
Qui possiamo essere più ignoranti della media o più raffinati e più colti della media, ma –di norma- i nostri problemi sono accettati e analizzati senza riserve, senza che nessuno pensi di essere al di sopra o al di sotto di chi parla.
E questa è la forza che ci dà il gruppo: capire, a un certo momento, che se parliamo della nostra vita, di situazioni difficili da raccontare, dove siamo vittime, o colpevoli o complici o semplicemente deboli, se parliamo di queste cose, ci sentiamo al centro di uno sforzo di comprensione da parte degli altri. Certo possono esserci domande o interventi di una certa durezza, giudizi non piacevoli da accettare, ma mai ho sentito qualcosa che fosse dettato dal pregiudizio sociale, verso il basso o verso l’alto o da pregiudizi di altra natura.
Il gruppo: è questa la chiave di quasi tutto ciò che avviene qui: c’è chi, nella sua vita, ha continuato a bere, nonostante la consapevolezza di fare del male alle persone amate, chi si è lasciato andare fregandosene della salute.
E poi ha smesso qui, spesso senza che i suoi problemi personali fossero ancora risolti. E questo per un meccanismo di solidarietà e di reciproca responsabilità e per l’acquisizione di nuove consapevolezze.
La didattica e la partecipazione alle esperienze degli altri mi hanno fatto capire che cosa significasse essere “dipendenti” e che non si può aspettare, per smettere di bere, che i propri problemi si risolvano.
Ma se questi aspetti sono ben chiari e logici, rimane qualcosa di misterioso nel momento e nel modo in cui ho rinunciato all’alcol.
Ricordo le mie prime partecipazioni al dispensario quando appena tornato a casa aprivo una bottiglia. E che poi, pochi giorni dopo, qualcosa è cambiato.
Se dicessi che ora sono più felice o più sereno di prima, sarei bugiardo con me e con voi.
E’ semplicemente successo che ho capito che bere non mi serve né per risolvere i miei problemi né per viverli meglio. E penso-e spero- di averlo capito con la parte più profonda di me stesso.
Ho cominciato a bere in maniera non controllata circa due anni e mezzo fa quando (anche in seguito a spiacevoli vicende familiari) le cose che –fin dall’infanzia- mi facevano vivere male, hanno cominciato a diventare intollerabili. Quali cose? Essenzialmente il desiderio di essere diverso da come sono e da come l’educazione familiare mi ha fatto essere.
A questo si è aggiunto, nel periodo in cui è nata la dipendenza, il timore che, raggiunti i cinquanta anni, fosse ormai impossibile realizzare quelle confuse (e forse assurde) aspirazioni che ho portato dentro di me per tutta una vita.
Nel risentimento verso la famiglia e verso tutto ciò che mi ha impedito di manifestarmi liberamente e nell’incapacità di accettarmi per quello che sono è forse alla radice di tutto.
E proprio in questa direzione, nella ricerca dell’accettazione, che devono concentrarsi i miei sforzi per poter trovare un equilibrio.
In questo mi sono stati di particolare aiuto Franco e anche l’esempio di più di un frequentatore del dispensario: persone che hanno accettato le sofferenze e i colpi della vita senza perdere la speranza e conservando verso gli altri una grande e serena disponibilità.
Ed è anche a loro che va il mio ringraziamento –non faccio nomi per non dimenticare nessuno- perché mi hanno dato una lezione di forza e dignità.
Ringrazio gli operatori,i medici dell’Alcologia, Franco e tutti quelli che, frequentando con me il dispensario e il Gruppo, mi hanno aiutato con le loro parole, con le loro domande, con i loro suggerimenti o semplicemente con la loro partecipe presenza.
Ringrazio mia moglie per la comprensione e la discrezione con la quale ha vissuto il mio problema.
Concluderò dicendo che più di qualcuno mi ha detto che sono cambiato.
Questo mi fa piacere, anche se mi chiedo se non sia solo un cambiamento esteriore, uno sforzo che prima o poi si esaurirà.
Di vero c’è sicuramente che ho un atteggiamento più aperto e diretto nei confronti degli altri.
Credo di aver fatto mio ciò che una volta ha detto Franco e cioè che parlando con gli altri e cercando di comprenderli, si impara a conoscere meglio se stessi e a capire, di noi, cose che non ci saremo aspettati.
Ancora grazie.
23 luglio 2008